La parola Virtus nel mondo romano era utilizzata “per indicare la forza consapevole e perseverante per cui l’individuo opera al conseguimento di un fine, resistendo alle avversità della fortuna” e tale fine, nella maggior parte dei casi, era il bene, la grandezza, l’onore e la gloria di Roma.

Nel mondo romano il concetto di Virtus espresso era fortemente presente all’interno della società e condiviso dalla maggior parte dei cittadini romani.

“Solo un uomo, un vir che possedeva la virtus, poteva portare le armi” ed infatti la Virtus era proprio la dote dell’uomo romano.

Tale concetto risulta ancora più evidente per il fatto che proprio la radice della parola Virtus è Vir e ciò fa un atto voluto per simboleggiare, anche linguisticamente, il legame indissolubile che deve esistere tra l’uomo e quell’insieme di valori interiori, quali la forza, il coraggio, la giustizia, la sapienza, la temperanza, l’onestà, che possono essere raccolti e rappresentati da un’unica sola parola: Virtus. Tali valori dovevano accompagnare il cittadino verso gli scopi fondamentali della vita di tutti i Romani: la maiestas populi romani (la gloria e l’utile dello stato), che di rimando coincideva con la maiestas (la gloria e l’utile del singolo individuo).

Tale concetto di correlazione tra il pubblico ed il privato viene espresso nel migliore dei modi dalla parole di uno dei più illustri cittadini dello stato Romano, Marco Tullio Cicerone, che nel suo scritto il “De officiis” scrisse:

“…rem pubblicam, quae debet esse carissima…” (“…lo stato, che ti deve essere sommamente caro…”) e “Potest autem, quod inutile rei pubblicae sit, id cuiquam civi utile esse” (“Può mai essere utile ad alcun cittadino ciò che è dannoso per lo stato?”).

“La vera felicità sta nella virtù.” Lucio Anneo Seneca

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